Autori: Cristina Lastri
Edizione: Le mezze lane
Silloge poetica
pp. 77
Prezzo: € 12
Disponibile in versione ebook
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Recensioni
Verso un altrove, il titolo di una nutrita silloge della poetessa Cristina Lastri, che riassume, sul piano del significato e del significante, gli elementi che caratterizzano la sua poetica e allo stesso tempo ne addita di nuovi.
La raccolta si struttura in tre sezioni successive, dai titoli, Percorsi Zen, Archi temporali, Viaggi onirici, tre ambienti che corrispondono a tre contesti esistenziali e, da un altro punto di vista, alle fasi di un percorso interiore che si riflette specularmente su quello artistico.
Lo Zen è una condizione dello spirito che consente di accedere a una visione del cuore delle cose, anche di quelle quotidiane, spesso vissute in maniera superficiale, ma che celano nel profondo verità e relazioni nascoste. È il modo per dare un senso alla vita, cercare quei riferimenti che stanno su un piano più intimo e allo stesso tempo universale rispetto alla realtà esterna. È quindi qualcosa intimamente connesso a quello che è il concetto di poesia, intesa come approfondimento interiore e collegamento all’universale. Proprio come scrive la poetessa nella lirica Puro amore: il tuo sguardo vuoto di paesaggi / si fa candida visione / circonda l’anima, addensa pensieri. / Oggi ti cerco, in un viso / re del tempo e dello spazio / cantando la grandezza del silenzio. O come in Orizzonti: Cosa cela l’orizzonte? / Il tutto, l’irreale / l’ideale, la pace / l’amore, un’altra vita. E ancora nella lirica Il volo: rendo magico il mio volo / leggero, luminoso… / Diventa danza nel blu / su note perpetue, avvolgenti. È un modo nuovo di accostarsi alle cose, alla vita di tutti giorni per viverne l’essenza profonda, il messaggio recondito in esse contenuto e spesso ignorato, la creazione di un altrove dove superare i condizionamenti e vivere attimo dopo attimo, con libertà, consapevolezza e creatività il percorso della propria esistenza.
Nella seconda sezione Archi temporali si esprime il tentativo, di andare oltre la condizione contingente per indagare poeticamente il complesso e mai risolto legame dello spazio e del tempo, due attributi intimamente legati che la percezione poetica svela al di là della realtà fisica, calandoli nella sfera interiore del sentire profondo. Solo la poesia con la forza creativa della poiesis, consente di scoprirne e di sovvertirne i legami intrinseci, attraverso la loro soggettivizzazione. Nella poesia in generale, così come in queste liriche, lo spazio e il tempo perdono la loro oggettività, per divenire espressione dello stato interiore, modi di viverne le pulsioni, adeguandosi allo stato animo, in sostanza sostituendo la percezione alla realtà. E così, ad esempio nella lirica Il volo delle rondini, la natura diventa evocatrice di pensieri e associazioni profonde, in ultima analisi paradigma della vita umana, con i suoi disegni reconditi e inaccessibili al senso comune: Nel volo delle rondini / c’è il mistero dell’amore / un disegno forse astratto / in girandole stranite / stordisce / chi s’incanta a guardare. E così in Futuro antico, un titolo dalla valenza ossimorica, un inquietante grido amaro allo scorrere del tempo: Anniversario anomalo / di un argento ossidato… / Ombra tangibile, sfuocata / di unione nel tempo scoppiata. / Guardo la prole, cerco le parole / il cuore oggi non mi duole. / Futuro antico. E ancora in Riflessioni, dove il tempo si materializza nella progressiva e irreversibile degradazione fisica e interiore: Il tempo lascia segni / li vedo sul mio volto / li sento addosso / ne prendo nota / nell’agenda virtuale; / non c’è da star male / è la ruota che gira / non la puoi fermare. Una visione pessimistica della vita, come in Pietre di luna: Pietre di luna / rocce di lava / sale sparso / tutto intorno è sabbia, che nel finale invece lascia spazio a un barlume di speranza: All’ombra del sasso / un fiore mai visto / ha bucato la terra, arida. È una riconciliazione seppur amara e tardiva con la vita a livello biologico, che tuttavia evoca a livello interiore la tensione verso la rinascita.
Infine l’ultima parte, Viaggi onirici, punto di arrivo di questo percorso che è allo stesso tempo umano e filosofico e che non a caso è l’ultima della raccolta. Il pessimismo della ragione, di derivazione leopardiana, sul fallimento della possibilità di determinare la propria esistenza, come il percorso Zen avrebbe auspicato, porta come conseguenza il vivere l’esistenza attraverso il percorso onirico, in sostanza la sostituzione della realtà con il sogno. La vita diviene così presenza nella sfera onirica, che deriva dalla contemplazione del miracolo cosmico e desiderio di perdersi in esso come nella poesia Gli occhi come le stelle: Gli occhi come stelle / tracciano sentieri, / nello spazio siderale / bucano il buio più nero / oltre il tempo, al di là del vero. / La mente cerca spiragli / levita su concetti terreni / sui peccati umani… / Il cuore non sa dove andare / ondivago, nell’ombra tace. La realtà si fa rarefatta, il cuore si abbandona, oltre la dimensione spazio temporale. Ma non tutto è stravolto da questa palingenesi onirica. La donna, la donna per eccellenza della letteratura classica, l’evocazione mitica e mai così concreta della fedeltà e dell’intelligenza femminile, Penelope, compie il miracolo, lo fa attraverso l’attesa, ferma il tempo di cui la tela è il paradigma, la tela che si può fare e disfare, e come il tempo percorrerlo avanti e indietro, superandone la sua intrinseca e inevitabile irreversibilità: Penelope / né pene / né colpe / solo esili fili / penduli / caduti dal peplo / per legare la tela, / per disfare il tempo. / Help! / L’arte dell’attesa: / un capolavoro.
Concludendo, si tratta di una silloge profonda sul piano dei contenuti, ma altrettanto intrigante per quanto riguarda il costrutto e la versificazione. C’è sempre nei versi una scelta sapiente del ritmo, che segue lo stato d’animo, cantilenante per evocare il senso di adattamento, rotto e spezzato per esprimere la disperazione, concitato di fronte al coinvolgimento emotivo per i propri affetti, mistico nella contemplazione evocativa della natura. Insomma una poesia che esprime la sua forza comunicativa attraverso un riuscito equilibrio tra significato e significante.
Prof. Franco Donatini, Università di Pisa
Cristina Lastri Verso un Altrove, Le Mezzalane, 2019
Recensione di Ivano Mugnaini
“In sana sommossa / verso l’isola che forse c’è”, scrive Cristina Lastri in una delle liriche di questo suo recente libro. I versi ci indicano una strada fatta di rettilinei e di curve oltre cui bisogna trovare il coraggio di andare. La sommossa, innanzitutto, è un momento di svolta, un deliberato scarto; ma il vocabolo si integra con quell’aggettivo “sana” fino a costituire un binomio inscindibile, un tutt’uno. La natura dell’aggettivo non modifica la forza e la schiettezza della rivolta. Anzi, semmai la rafforza. Una vera sommossa nasce da radici salde, dall’esperienza delle cose viste e percepite, perfino dagli errori, dagli sbagli di valutazione. Solo con quel bagaglio di esperienze si può intraprendere il viaggio verso la meta auspicata, quell’isola che, ribaltando un noto riferimento letterario, in questo caso c’è, esiste. Il libro è la sintesi dettagliata di un viaggio, un tragitto che, come ci indica il titolo, ci porta lontano .
Come ha sottolineato Cristina Lastri nell’intervista per la rubrica A TU PER TU, il timone idealmente è rivolto verso “un altrove”, non verso l’Altrove indistinto e assoluto. Il cammino personale dell’autrice si estrinseca in varie “tappe” all’interno di questo libro. Si può rilevare una prima forma di “evoluzione”, un mutamento di prospettiva, sia cronologico che “visivo”, per così dire, un differente punto di vista: “La sete di conoscenza mi ha permesso di emergere da una sorta di eremitaggio introspettivo e di rivolgere lo sguardo oltre, verso un fuori da sé”.
Il materiale di base con cui costruire l’imbarcazione per raggiungere l’auspicata isola è la conoscenza, ottenuta tramite la passione per i libri e per tutto ciò che arricchisce il bagaglio personale, non di nozioni ma di empatia, per il mondo, per il bene e il male, per i chiaroscuri la cui accettazione può condurre al prezioso senso dell’armonia con il cosmo. L’abbandono dell’eremitaggio permette di estendere il campo visivo e di favorire l’uscita da sé, ossia l’acquisizione di una dimensione interiore altra, situata in un altrove che più che un punto fermo è un processo graduale e costante di “simpatizzazione” con il mondo.
La cura può avere luogo nel momento in cui la mente e il corpo dialogano sulle stesse frequenze e sulla stessa lunghezza d’onda. Non è un caso che a volte il solo modo di accelerare il passo, sul piano poetico e non solo, sia quello di rallentarlo, e non è un caso che questo libro faccia riferimento esplicito e costante alla pratica dello zen, alle strade che conducono a “percorsi zen utili al perdersi e al ritrovarsi.
“Ricostruire, resettare / scegliere il passo / per la prossima alba / capire dov’è la partenza / e cominciare a sognare / a tessere idee / per vederle eteree, prendere corpo”. Questi versi, tratti dalla liriche “SOSte”, erigono un ponte tra il passato, il presente e il futuro e, sul piano del pensiero, tra l’astrattezza e la corporeità. Come sempre la coincidenza degli opposti conduce alla totalità, quindi alla pienezza.
Interessante è anche il titolo della lirica appena citata, “SOSte”. Con un procedimento piuttosto ricorrente nel libro, la Lastri costruisce vocaboli composti, multiformi, con più livelli e più significati possibili. Nel caso specifico, SOS potrebbe essere visto come una specie di grido da lanciarsi in una condizione di emergenza e si sovrappone al “te”, che costituisce la parte rimanente del termine, un destinatario ideale e concreto. L’insieme però non è dato dalla pura e semplice somma delle componenti. Il termine derivante sublima le parti in un invito a rallentare fino a fermarsi per riflettere, per ripensare, per rigenerarsi e rigenerare.
La volontà di “ristrutturazione”, passa anche attraverso la suddivisione delle parti del libro, il cui intento è quello di organizzare in modo organico le varie liriche confermando altresì in modo pratico e fattivo la volontà di “uscire dall’eremo” cercando un dialogo schietto e nitido con il lettore.
Le tre sezioni sono contraddistinte dai titoli, Percorsi Zen, Archi temporali, Viaggi onirici. Tre “fasi” care alla produzione poetica della Lastri.
Da notare anche la giustapposizione tra elementi diversi che vengono a comporsi in nuove forme, così come evidenziato anche da uno degli “eserghi” del libro: “Su te parola / in un cielo balenante / colmo voragini di dolore / con polvere di gioia”.
Il rapporto dialogico assume varie forme, separate ma complementari. Quel “tu” a cui l’autrice si rivolge è la parola stessa, ma è anche la sua stessa interiorità, il proprio mondo di pensieri e stati d’animo, e, non ultima, è il destinatario, reale o immaginario, di ricordi che sente ancora vividi e presenti: “Fu allora che vidi il tuo destino / come un volo libero / senza di me”. Fino al punto in cui il tutto si ritrova, identico ma mutato, nel profondo, nella conciliazione, nell’accordo, nell’allineamento della dimensione temporale con il battere interiore dei sentimenti: “Ricordo quell’abbraccio / fra i visi increduli / e il fremito lungo le ossa. / La felicità era tutta lì / raccolta nei nostri sorrisi. / Ora i giorni scorrono nella clessidra / e i passi avvicinano allo scrigno / del dono atteso, come rosa di maggio”. Anche la nitidezza estetica del verso è il risultato di un processo, di un percorso progressivo.
È, esso stesso, “un viaggio oltre la linea che delimita – in apparenza – il confine con l’ignoto”.
Questo libro ci conferma che il tempo individuale e il tempo assoluto, quello dell’universo, possono trovare un punto di incontro, una conciliazione. Così come si possono incontrare tra di loro, anzi, sono già due volti dello stesso pianeta, la realtà e l’immaginazione, il vero, il pensato e la percezione di entrambi all’unisono.
Si può riassumere il concetto tramite i proverbi Zen citati nel libro: “Un buon viaggiatore non segue la carreggiata. – Rendi il tuo spirito simile al vento, che passa su tutte le cose senza attaccarsi a nessuna di esse.”
Con una serie di variazioni sul tema sentite ed espresse con sincera partecipazione, la Lastri annota: “Attendevo sempre / ogni giorno, vivendo. / Dietro il cambiamento / una lunga attesa… / Tempo lasciato / a infettare la ferita. / Davanti al futuro / d’improvviso Qualcuno / s’ è accorto del non ritorno / lasciandoci
alla fermata della speranza. / Vincere la paura è solo una sfida. / Cammino sull’orlo del vulcano”.
Questo libro ci parla di un percorso personale che tuttavia può fare da specchio e da diario di bordo per molte vite e molti itinerari, diretti ciascuno verso il proprio Altrove e verso la propria isola di elezione. La scrittura nell’atto di farsi sincera, senza retorici filtri posticci, può equivalere ad una forma di meditazione. Ce lo chiarisce, con passione e con chiarezza, la stessa Lastri nelle pagine in prosa che sono parte integrante del libro, del suo senso e della sua funzione espressiva.
Tra gioco (serissimo) ed esplorazione di eventi e mutamenti, la Lastri cita Il mestiere di vivere pavesiano, ed anzi, lo tramuta in manifestazione di una pratica concreta. Sottolinea l’importanza della qualità del vivere, confermando che non conta il quanto ma il come. Distingue l’inerzia dall’auspicato Altrove: “Nei giorni freddi e soli / la pioggia lava la neve sporca; / alle volte s’avanza per inerzia / aspettando un’altra stagione / per andare a piedi nudi / verso l’altrove”. Cita le cose viste e memorizzate, le rovine del tempo e della civiltà, per ricordarci che il flusso è costante e il flusso è la vita stessa: “Aria infuocata / profumo di vaniglia / nell’aurora di Tunisi. / Fiore del deserto / intorno al rosa, / il colore viola. /Rovine con vista”. Lo stesso linguaggio, i vocaboli e la sintassi, rispecchiano l’alternanza di buio e splendore, morte e rinascita.
I punti di forza del libro di Cristina Lastri sono il coraggio di una sincerità che non si ferma di fronte ai bivi incerti e non teme la coesistenza dei chiaroscuri, e, a fianco ad essa, la volontà di confermare a se stessa e a chi legge che la dimensione onirica non si contrappone al vero e non impedisce di vivere la dimensione concreta. Ossia, detto in termini metaforici ma anche immediati, quasi disegnando la mappa di un viaggiatore, le coordinate di un percorso, potremmo dire che l’Altrove di cui ci parla l’autrice non esclude il qui ed ora, la concretezza dell’attimo che stiamo vivendo, pur con le sue mille insidie, i veleni e le frustrazioni quotidiane. Anzi, quell’Altrove è composto anche da questo presente, e da tutti i passati, individuali e collettivi da cui abbiamo tratto linfa, perfino dai momenti di pena e smarrimento, anzi, forse soprattutto dagli errori e dalle imperfezioni.
Quell’Altrove è già in noi, o meglio siamo già noi, nell’atto del nostro tendere verso qualcosa di migliore; quella ristrutturazione, filtrata dal pensiero, dalla parola e dal gesto concreto, che ci può condurre alla più fertile e salvifica isola, quella della Rinascita.
Ivano Mugnaini
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A tu per tu: una rete di voci – Intervista di Ivano Mugnaini
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